mercoledì 19 febbraio 2014

Il tradimento del bello

Dopo il bel film di Sorrentino, la bellezza sembra essere diventata di moda: se ne parla ovunque, sui media, in pubblicità, nell'industria del lusso, ma anche nella formazione. Anzi, in quest'ultimo ambito sembra essere diventata una specie di mantra quotidiano: la bellezza e il benessere, la bellezza e l'impresa, salute e bellezza, la bellezza della fabbrica - per chi ha nobili sussulti olivettiani - la bellezza e la leadership e chi più bellezza ha più ne metta. Noi stessi sono più di due anni che ci occupiamo con fatica e soddisfazione di bellezza e lavoro, di rapporti tra bello e buono, etica ed estetica. 


Proprio per questa ragione proviamo un senso di disagio - per non dire di fastidio - rispetto all'abuso che si sta perpetrando in nome dell'arte e della bellezza. Non c'è niente di più brutto e di più lontano dall'arte dello sfruttare quest'ultima per meri interessi commerciali, per vellicare interesse e curiosità, per camuffare un prodotto e un servizio vuoti di significato e di qualità, per qualcosa di innovativo, rivoluzionario, simbolico. In realtà si tratta spesso di operazioni di make up che con la riflessione sul bello, il buono e il bene hanno poco a che vedere. Pretesti per stupire, per sembrare diversi, ma in realtà non in grado di scatenare quegli impulsi alla libertà che soli producono bellezza. Intendiamoci subito, non si vuole dire che fare della formazione o della consulenza centrata sull'idea di bellezza sia comportarsi in modo inautentico: noi stessi abbiamo progettato della formazione a pagamento che in qualche modo strumentalizza il bello.
 Tuttavia, la vera differenza è nei fini e nei mezzi che le persone utilizzano. La nostra finalità non è vendere un corso: se fosse così avremmo scelto una strada meno impervia. La nostra finalità è contribuire a cambiare il rapporto che ognuno di noi ha con il lavoro e, per farlo, abbiamo speso il nostro tempo e le nostre energie per strutturare degli interventi che hanno al proprio cuore quella espressione e ricostruzione della realtà che solo l'arte può rendere materialmente visibile. L'arte parla a ognuno con linguaggi diversi: esige solo di essere osservata per poter scatenare tutta la sua forza rivelatrice di chi siamo, che cosa vogliamo, le nostre passioni e le nostre paure. Quale mondo interiore squarciano i tagli di Fontana? Che cosa nascondono i colori crepuscolari delle grandi tele di Rothko? Quanto ci rappresentano quelle lattine di zuppa che in Warhol sembrerebbero essere tutte uguali? Quali confini sottili scopriamo tra il sublime e il demoniaco nell'opera di Bach? E quale modello di produzione e di società sa ancora sbatterci in faccia "Tempi moderni" di Chaplin?
Nell'opera d'arte l'immaginario e il lavoro dell'artista si fondono con gli intimi recessi dell'osservatore. Si realizza un costante passaggio di consegne, un'attrazione o una repulsione che superano le barriere difensive. L'arte è strettamente connessa con il potere, un potere superiore a quello tradizionale, un potere ancestrale, tenuto nascosto, capace di smuovere gli animi. Un potere così connesso con la libertà da terrorizzare o produrre le vertigini in chi coltiva quelle forme di potere materiale che invece si fondano sulla rappresentazione falsata del reale e sulla costrizione o sullo svilimento della libertà.

Il nostro proposito è dunque il recupero della consapevolezza del cambiamento e la riscoperta delle premesse per la sua realizzazione. Un cambiamento che è tale solo se apporta una libertà maggiore a chi ne è investito, che è orientato a migliorare - cioè, letteralmente, rendere più buono, più pieno di bene - l'ambiente di lavoro, le relazioni umane e professionali, i beni materiali che vengono prodotti. Che poi è il significato proprio dei due caratteri che rappresentano il kaizen.
L'importante è cercare di incarnarlo con onestà e trasparenza e non tradirlo e corromperlo attraverso volgari esigenze di marketing che non potranno mai piantare radici da cui crescano querce.



martedì 18 febbraio 2014

Siamo pronti a salpare e 
a volare per mare...



Questo blog nasce da anni di confronti sui temi dell'impresa, della formazione, del lavoro e dei vari modi di fare e intendere questi ambiti. In giro c'è un po' di tutto: imprese belle, attente alle proprie risorse, miopi, brutte fuori e dentro; formazione utile, inutile e a volte pure dannosa; lavoro dignitoso, gratificante, motivante, spietato, indegno...

Le sfumature possono essere infinite e non riusciremmo a coglierle tutte. The Butterfliers vuole essere uno spazio di riflessione, di confronto su questi temi. Andremo a caccia di begli esempi da condividere, storie da raccontare, materiale da leggere e guardare!

The Butterfliers, sembra un errore, ma è un neologismo, in inglese. Una parola nuova perché siamo convinti sia nuovo il modo in cui vogliamo affrontare la dimensione del lavoro e del fare. Un nuovo che tuttavia ha il sapore dell'antico: dell'idea di Buono e di Bello uniti insieme che tutti abbiamo ereditato dalla tradizione classica. Il Buono e il Bello uniti danno vita al Bene, l'estetica e l'etica si fondono insieme e trasformano noi stessi e la nostra relazione con la realtà, contribuiscono a dare forma alla nostra vita.

The Butterfliers: persone che, a differenza delle farfalle, vogliono essere in continua trasformazione; persone il cui processo di metamorfosi non termina mai, neanche quando hanno già spiccato il volo.

In inglese perché il mondo è grande e l'inglese aiuta a farsi capire e a capire, varcando i confini del nostro paese e delle nostre abitudini. E siamo abbastanza ambiziosi da voler portare questo modo di guardare il lavoro molto lontano.